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Il risotto al radicchio di Carmen |
Galeotto fu il risotto e chi lo mantecò. È questo quello a cui pensavo oggi, a ora di pranzo, mentre per casa aleggiava un profumo delizioso di risotto al radicchio.
Facendo mente locale e un calcolo che è stato un vero e proprio salto nel tempo, io e la mia amica Carmen abbiamo quantificato l’arco temporale che da un risotto a un altro ci ha fatto pranzare insieme oggi, dopo 10 anni*.
Nel 2007-2008 ero alle prese con tutte le esperienze umane, universitarie, lavorative e parrocchiali, formative, curriculari ed extracurriculari, che riuscissi a mettere insieme in 24 ore. E a volte 24 ore sembravano non bastare. Dai diversi luoghi della vita mia e di quella delle persone della mia vita, a un certo punto della giornata un vortice di storie si riuniva in un luogo della mia città, Salerno, per mangiare insieme. A volte era casa mia, e magari eravamo solo io e il mio amico Ilario, davanti a lagane e fagioli e lagane e ceci, dopo che la lavanderia “Ondablu” aveva terminato l’ultimo turno. Ma il luogo per antonomasia in cui ci ritrovavamo era proprio casa di Ilario, Lallo per gli amici (e altri nomi improponibili quando si sarebbe trasferito a Londra…), il primo tra noi ad essere andato a vivere da solo. A casa di Lallo sono stati narrati fatti inenarrabili e storie tragicomiche; sono nate storie di una notte e storie di una vita. Ci sono state alcune delusioni. Ma, più di tutto, sono nate nuove, belle, sincere, autentiche, grandi amicizie.
L’amicizia è sacra. Gli anni della mia infanzia sono legati indissolubilmente ai ricordi degli amici cari. L’asilo, le scuole elementari; le lunghe e caldi estati, profumate di crema solare e pizzette; le scuole medie e le prime liti, le scuole superiori e le grandi domande. Per me gli anni della piccolezza in crescita sono mia sorella di sempre Ilaria e mia sorella di vita Miki, mio fratello Francesco - il piccolo di casa - mio cugino Andrea, Mattia e Giovanni, e poi le “prime volte” che sono seguite. Queste persone hanno “fatto la base” delle mie relazioni, un po’ come quando esci a bere qualcosa con gli amici e mangi per farti la base per affrontare e sostenere tutto, per non farti cogliere impreparato. Senza di loro non sarebbe venuto il resto o, semplicemente, le cose non sarebbero state come sono state. Così, quando sono arrivati gli anni di “quando divento grande”, ho accolto con gioia la nuova ondata di persone che si sono affacciate nella mia vita.
Facendo mente locale e un calcolo che è stato un vero e proprio salto nel tempo, io e la mia amica Carmen abbiamo quantificato l’arco temporale che da un risotto a un altro ci ha fatto pranzare insieme oggi, dopo 10 anni*.
Nel 2007-2008 ero alle prese con tutte le esperienze umane, universitarie, lavorative e parrocchiali, formative, curriculari ed extracurriculari, che riuscissi a mettere insieme in 24 ore. E a volte 24 ore sembravano non bastare. Dai diversi luoghi della vita mia e di quella delle persone della mia vita, a un certo punto della giornata un vortice di storie si riuniva in un luogo della mia città, Salerno, per mangiare insieme. A volte era casa mia, e magari eravamo solo io e il mio amico Ilario, davanti a lagane e fagioli e lagane e ceci, dopo che la lavanderia “Ondablu” aveva terminato l’ultimo turno. Ma il luogo per antonomasia in cui ci ritrovavamo era proprio casa di Ilario, Lallo per gli amici (e altri nomi improponibili quando si sarebbe trasferito a Londra…), il primo tra noi ad essere andato a vivere da solo. A casa di Lallo sono stati narrati fatti inenarrabili e storie tragicomiche; sono nate storie di una notte e storie di una vita. Ci sono state alcune delusioni. Ma, più di tutto, sono nate nuove, belle, sincere, autentiche, grandi amicizie.
L’amicizia è sacra. Gli anni della mia infanzia sono legati indissolubilmente ai ricordi degli amici cari. L’asilo, le scuole elementari; le lunghe e caldi estati, profumate di crema solare e pizzette; le scuole medie e le prime liti, le scuole superiori e le grandi domande. Per me gli anni della piccolezza in crescita sono mia sorella di sempre Ilaria e mia sorella di vita Miki, mio fratello Francesco - il piccolo di casa - mio cugino Andrea, Mattia e Giovanni, e poi le “prime volte” che sono seguite. Queste persone hanno “fatto la base” delle mie relazioni, un po’ come quando esci a bere qualcosa con gli amici e mangi per farti la base per affrontare e sostenere tutto, per non farti cogliere impreparato. Senza di loro non sarebbe venuto il resto o, semplicemente, le cose non sarebbero state come sono state. Così, quando sono arrivati gli anni di “quando divento grande”, ho accolto con gioia la nuova ondata di persone che si sono affacciate nella mia vita.
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Work in progress |
Quella sera a casa di Lallo, manco a dirlo, c’erano molte persone. Fuori pioveva e arrivammo un po’ alla spicciolata, chi prima chi dopo, chi molto dopo per vari motivi. Ognuno portava qualcosa, ma c’era sempre quello che si imbucava contando sull’abbondanza altrui. Una sorta di “portoghesi casalinghi” che scavalcavano il portone e la porta di ingresso e si accomodavano a tavola. Quelli erano gli anni in cui la mamma di Ilario preparava teglie e teglie di lasagna al forno per le partite di rugby di Lalluccio, per quel terzo tempo che oggi, a pensarci, io e Carmen ci andremmo con tanto piacere!
Quella sera sul tavolo c’era del pane da tagliare e del salame da affettare, e come nella migliore tradizione delle serate da Lallo le battute si sprecavano. Ai fornelli c’era lei, la rossa, che si destreggiava tra due padelle di risotto al radicchio, mantecando un po’ alla volta questa grande quantità di cibo che – mi sembra di sentirli anche ora – ci chiedevano a gran voce dal salotto.
Io l’avevo vista nella redazione del quotidiano in cui facevamo gavetta e, lei lo sa, mi incuteva uno strano timore reverenziale. Non so perché, ma emanava una grande serietà e professionalità mentre scriveva i pezzi al pc. Ora, non che Carmen non sia seria e professionale, ma quando gliel’ho detto la prima volta mi ha riso in faccia.
Dinanzi a quel risotto qualcosa è cambiato. Si dice che le grandi alleanze si stipulino a tavola, tra un piatto prelibato e un buon bicchiere di vino: il piatto prelibato lo ha preparato lei, a un certo punto il vino l’ho aggiunto anche io, direttamente nella padella, perché il brodo era finito e in qualche modo bisognava pur cuocere il riso…
Dinanzi a quel risotto qualcosa è cambiato. Si dice che le grandi alleanze si stipulino a tavola, tra un piatto prelibato e un buon bicchiere di vino: il piatto prelibato lo ha preparato lei, a un certo punto il vino l’ho aggiunto anche io, direttamente nella padella, perché il brodo era finito e in qualche modo bisognava pur cuocere il riso…
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San Simon e burro
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Quando oggi preparavo gli ingredienti per questo secondo risotto al radicchio, una serie di ricordi si sono centrifugati nella mia testa, mentre Carmen mi prendeva in giro dicendo “Mi hai invitata a Roma per mangiare a tavola franca!”, “Eccert”. La forza di questo risotto al radicchio è nella scelta degli ingredienti, nella modalità di preparazione, nelle varianti che hanno, tra l’altro, il sapore del taleggio, nella certezza di un brodo abbondante e di un San Simon generoso. E poi in quel pizzico di esserci, condivisione, casacadutaggine, risate e non, sguardi obliqui e dita a V, viaggi in Irlanda e serate birrose. E ritorni a casa. Ieri, oggi, presto.
*Per il risotto ci sono voluti circa 10 anni ma io e Carmen ci vediamo spesso, spessissimo. Tra poco ancora di più (per la sua felicità!).
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