giovedì 31 agosto 2017

La telefonata del 548 #storiedibus

Piazza di Cinecittà - Capolinea 548

La signora di fronte a me, seduta sul sedile del 548, che in questo ultimo rigurgito di agosto si agita al telefono, parla di “porte di cesso” e trasparenze inopportune. Qualcuno, dall’altra parte del cellulare, deve aver ristrutturato casa scegliendo una porta che sembra non tenere in alcuna considerazione la privacy. Il suddetto interlocutore ha lasciato poco spazio all’immaginazione, permettendo – a chi guarda da fuori e a chi opera da dentro – di mantenere una comunicazione visiva che non lascia adito al vedo-non-vedo.
Questa cosa mi accompagna per tutto il tragitto da lavoro alla metro, in un percorso che è una via crucis arida. Lo sguardo vitreo di questa donna dagli occhi azzurro annacquato, le labbra rigonfie in un modo caricaturale, il cellulare usato come un microfono, le danno un senso di avvilimento umano, di decadimento, di mortificazione, di profonda solitudine. In questi quasi 8 anni di vita romana sono tante le solitudini intercettate, nascoste dietro una voce troppo alta al telefono, un dialetto “strascicato”, sprazzi di follia o sguardi bassi, fermi a mezz’aria nel vuoto. Roma, città bella ed eterna, metropoli vasta che affascina dall’alto del Gianicolo, si mostra casa di monadi solitarie se guardata da vicino, a tu per tu con l’umanità che la popola. L’umanità di quelle periferie lontane dalle belle passeggiate, abbandonata in municipi contrassegnati da un numero romano che della gloria della Roma Caput Mundi non ha quasi nulla più. È l’umanità che vedo in una signora nella zona del lavoro, al mattino, mentre cammino con le cuffie nelle orecchie e sono intenta a scrutare volti e posture, e lei è puntualmente lì, tra il viale e la traversa, con le guance colorate, il foulard in testa annodato sotto il mento, gli enormi occhiali da sole che provano a chiudere la visuale di un volto su cui emerge il rosso acceso e sbavato di un rossetto troppo vistoso su un viso bianco cipria.
Poi c’è la Roma bella, quella dei sanpietrini e degli archi che aprono lo sguardo su scorci d’incanto, Roma del Lungotevere e di Corso Vittorio Emanuele. Ma quella è tutta un’altra linea.

lunedì 28 agosto 2017

Memories #2



Il calendario appeso in cucina mi dice che oggi è sant’Agostino: santo amato, santo stimato, santo rispettato, santo che incuriosisce, santo che parla al cuore dei vicini e alla mente dei lontani. Santo tutto uomo che dell’umanità non ha lasciato nulla indietro, nulla di intentato, e che del tutto non ha avuto soddisfazione piena.
Sant’Agostino come quei figli che fanno palpitare le madri, sospese su un filo sottile tra il dolore, l’ansia, la preoccupazione – che si ergono come una vastità senza confini – e quella piccola, minima ma tenace speranza, che «tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (cf Inno alla carità), come dice quel san Paolo che in quanto a malfatte è stato un notevole precedente.
Per questo, quando ho letto la prima volta queste parole e ogni volta che le leggo, guardo ad Agostino di Ippona, all’uomo nella sua dignità e agli uomini tutti, a quel “tardi t’amai” che, seppur tardi, mai vana lascia ogni speranza.


Post del 18 aprile 2011
Tutte le volte che mi imbatto in queste parole, non posso fare a meno di soffermarmi sulla loro bellezza, profondità, struggente e immensa verità.

Tardi t'amai, bellezza infinita, tardi t'amai,
tardi t'amai, bellezza così antica e così nuova.
Eppure, Signore, tu eri dentro me, ma io ero fuori;
deforme com’ero, guardavo la bellezza del tuo creato.
Tardi t’amai, bellezza infinita, tardi t'amai,
tardi t’amai, bellezza così antica e così nuova.
Eri con me, e invece io, Signore, non ero con Te;
le tue creature mi tenevano lontano, lontano da Te.
Tardi t’amai, bellezza infinita, tardi t’amai,
tardi t’amai, bellezza così antica e così nuova.
Tu mi chiamasti, e la Tua voce squarciò la mia sordità;
Tu balenasti e fu dissipata la mia cecità.
Tardi t’amai, bellezza infinita, tardi t’amai,
tardi t’amai, bellezza così antica e così nuova.
Tu esalasti il dolce Tuo profumo ed ho fame e sete di Te;
mi hai toccato: ecco ora io anelo alla Tua pace.
Tardi t’amai, bellezza infinita, tardi t’amai,
tardi t’amai, bellezza così antica e così nuova.

Tardi t'amai (Confessioni X, 27.38) 


venerdì 25 agosto 2017

Modalità memories: ON

Lungomare di Salerno - agosto 2017 - ore 7.40






Stamattina presto, mentre il giorno si palesava nell'aria e il silenzio si rompeva sempre più, pensavo a mia sorella e alla sua famiglia in partenza per casa loro, a Strasburgo; pensavo ai 1289 km che separano la loro quotidianità da quella di tutti noi qua. Nella mia testa riflessioni e parole hanno iniziato a farsi spazio. Ma poi la giornata mi ha messo di fronte a pensieri e parole del passato, a note e appunti di giorni lontani nel tempo e nello spazio, ed eccomi qua.
I pensieri di oggi hanno bisogno di più tempo per
essere elaborati. Oggi sul mio blog attivo la modalità memories. Vediamo cosa scrivevo qualche anno fa.

12 gennaio 2009
Rjabinin (da L'elegenza del riccio - Muriel Barbery)
"…La più bella scena di Anna Karenina è ambientata a Pokrovskoe. Levin, cupo e malinconico, cerca di dimenticare Kitty.
È primavera, va nei campi a falciare con i suoi contadini. All’inizio il lavoro gli sembra troppo duro. Sta per implorare pietà, quando il vecchio contadino che guida la fila ordina una pausa. Poi la falciatura riprende. Levin è di nuovo allo stremo delle forze, ma il vecchio alza una seconda volta la falce. Riposo. E la fila si rimette in cammino, quaranta individui che abbattono le andane e avanzano verso il fiume mentre sorge il sole. Fa sempre più caldo, le braccia e le spalle di Levin sono inondate di sudore, ma tra pause e riprese i suoi gesti, inizialmente maldestri e dolorosi, si fanno sempre più sciolti. All’improvviso una beata frescura gli copre la schiena. Pioggia d’estate. A poco a poco Levin libera i movimenti dal peso della volontà, entra nella leggere trance che, senza riflessione né calcolo, conferisce ai gesti la perfezione delle azioni meccaniche e consapevoli, e la falce sembra muoversi da sola mentre Levin si delizia dell’oblio, nel movimento che rende il piacere di fare meravigliosamente estraneo agli sforzi della volontà.

È ciò che succede in tanti momenti felici della nostra esistenza. Sollevati dal fardello della decisione e dell’intenzione, navigando sui nostri mari interiori, assistiamo ai nostri movimenti come se fossero le azioni di un altro e tuttavia ne ammiriamo l’involontaria eccellenza. Quale altro motivo potrei avere io per scrivere questo, il ridicolo diario di una portinaia che invecchia, se non che la scrittura somiglia all’arte del falciare? Quando le righe divengono demiurghi di se stesse, quando assisto, come un miracoloso insaputo, alla nascita sulla carta di frasi che sfuggono alla mia volontà e che si imprimono sul foglio mio malgrado, esse mi fanno conoscere quello che non sapevo né credevo di volere, gioisco di questo parto indolore, di questa evidenza non calcolata, e del fatto che seguo senza fatica né certezza, con la felicità delle meraviglie sincere, una penna che mi guida e mi porta.

Come facciamo presto, dall’apparenza e dalla posizione, a trarre conclusioni sull’intelligenza di tutti gli esseri…Rjabinin, che conta le sabbie del mare, abile commediante e manipolatore arguto, non si cura dei pregiudizi che gravano su di lui. Nato intelligente e paria, la gloria non lo interessa; lo spingono sulle strade del mondo solo la promessa del profitto e la prospettiva di andare a derubare garbatamente i signori di un sistema idiota che lo disprezza ma non sa frenarlo. Così sono io, povera portinaia rassegnata alla mancanza di fasti – ma anomalia di un sistema che per questo si rivela grottesco e del quale, ogni giorno, mi burlo sottovoce nella mia interiorità inaccessibile a chiunque".

venerdì 18 agosto 2017

Spensieratezza


Il volo dell'angelo - Trentinara - Salerno
Sarà per il caldo. Sarà per la cappa di afa che come la nuvoletta di Fantozzi sovrasta e tutto avvolge in questo caldo mese di agosto. Sarà forse proprio per il mese di agosto, croce e delizia, odio et amo, che sempre arriva portando con sé un pacchetto all inclusive di sensazioni. Sarà che sono circa 24h che mi trovo di fronte a una parola che mi interroga.
Spensierato.
Due persone tra loro sconosciute mi hanno messa di fronte a questo aggettivo, conduttore di un significato ampio e di esperienze varie. Questo è il periodo dell’anno della spensieratezza. E ma io mi ci interrogo, perché a sto giro tutta sta spensieratezza non so se la percepisco. È una condizione perpetua? La si vive a singhiozzi? È a tempo determinato? È inserita in un co.co.pro. estivo?
Poi non so quanto c’entri, ma mentre provo a mettere nero su bianco pensieri nebulosi, sfilano sullo schermo della tv le immagini di Barcellona e i volti di attentatori giovanissimi, virgulti d’uomo che in sé incarnano – o dovrebbero incarnare – la spensieratezza per eccellenza.

Cos’è la spensieratezza? Dove si trova? È quella che vedo su immagini di piedi laccati poggiati su teli da mare? È nei riflessi del sole che si poggiano su cosce abbronzate instagrammate? È nelle frasi postate su Twitter? Nei video caricati su Facebook? È nel labile confine tra vita reale e virtuale? O forse è in tutto quello che non si vede ma si sente, vive, percepisce strisciante nelle fibre del proprio essere?
 
Forse è una cosa semplice ma stasera non riesco a vederla.

«“Sai, sei un pochino complicata dopo tutto”.
“Oh, no”, lo rassicurò lei in fretta. “No, per niente, sono solo… tante diverse persone semplici”».
Tenera è la notte, Francis Scott Fitzgerald



Mano nella mano

All’improvviso una mano afferra la mia nel tentativo di placare il panico e, mentre mi giro, vedo due occhi fermi e rassicuranti, dritti nei...