Stavo parlando con un’amica, in quel modo strano
del parlare che sono gli audiomessaggi di whastapp, e le dicevo che il tempo non
torna più, e mentre lo dicevo ho iniziato a sentire la musica salire e la voce
di Fiorella Mannoia farsi spazio. Quando ero bambina ed era domenica e restavo
a casa ricordo mia madre girare per casa a fare le pulizie cantando. La radiolona
accesa, la manopola della radio su cui c’era scritto “tuner” per cambiare le
stazioni radiofoniche alla ricerca di una canzone conosciuta e amata. Il giro
della manopola era a tratti compulsivo, lo era quando a girare ero io, ma
ricordo che anche dall’altra stanza mamma riconosceva la voce di Fiorella e allora
non si poteva andare oltre. Mi piaceva quella voce, alcune sue canzoni ho
iniziato a cantarle quando andavo alle elementari, anche se forse non le capivo
fino in fondo.

Il 26 Luglio 2002 avevo vent’anni ed ero per la
prima volta allo Stadio San Paolo di Napoli, nella mitica Curva B, per uno dei
più bei concerti a cui abbia assistito: Francesco De Gregori, Pino Daniele, Ron
e Fiorella Mannoia quell’estate erano in tour attraverso l’Italia. Per la prima
volta ascoltavo dal vivo la voce che aveva accompagnato le mie domeniche
casalinghe di bambina. Quella serata la ricordo da prima che iniziasse, sento anche
ora l’adrenalina mia e di chi era con me “nel prima”, la malinconica emozione
della fine del concerto. Quella sera ho ascoltato per la prima volta “Joe
Temerario” di Ron. Quando ci ripenso mi rendo conto che di quella serata resta come
un’eco che di tanto in tanto riecheggia attraverso la musica, in quella memoria
delle emozioni che sta lì silenziosa e raggomitolata su se stessa per
riemergere e dipanarsi all’improvviso.

“Il tempo non torna più” canta Fiorella Mannoia attraverso
le parole scritte da Piero Fabrizi ed Enrico Ruggeri, e mentre ci pensavo ho
aperto il computer e sono andata a cercare in quel mare magnum di archivio
della malinconia che sa (anche) essere “l’internet” (cit. Core). Ho trovato il
testo e prima me lo sono cantato con il quartetto, degna di un concerto live dalla
Curva di casa mia a Straburgo e poi sono andata a rileggerlo con attenzione. Allora
ho ripensato alla chiacchierata con la mia amica su whatsapp, in quel luogo non
luogo che è una App, in cui lo spazio non c’è e il tempo si rincorre, e mi sono
accorta che quelle parole scritte nel 1988 erano cantate dalla me di sei anni per
trovare un senso pieno soltanto nella me “grande”, nella persona adulta che il
tempo mi ha fatto diventare. Forse una canzone è un po’ una macchina del tempo.
Spesso le nostre giornate si complicano
Mentre le perplessità rimangono qui
E ci si sposta lontano
In un orizzonte più strano
E i conti già fatti non tornano mai
No, il tempo non torna più
E ieri non eri tu, oggi chi sei?
Cos'è che cambia la vita in noi
E quello che adesso hai
Domani non lo vorrai
Spesso le nostre coscienze ci mormorano
Frasi che poi nascondiamo dentro di noi
E ci sentiamo colpiti per come veniamo cambiati
Parole nascoste non escono mai
No, il tempo non torna più
E forse rimani tu, con quello che hai
Cos'è che grida nascosto in noi
Stanotte non dormirai
Ma non capirai
No, il tempo non torna più
E ieri non eri tu, oggi chi sei?
Credi il tempo non torna più
No, il tempo non torna più
Vedi, il tempo non torna più
No, il tempo non torna più
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