Capita che in un giorno di quasi autunno ci si ritrovi a girare per le strade della città in cui vivi, quella della tua quotidianità, una città che inizi davvero a sentire tua anche se non lo è da sempre, una città che inizi ad amare anche se non è stata il primo amore perché il tuo sangue profuma di salsedine e qui con l’Ill sei tutt’al più parente del fiume Reno.
Ecco, in una giornata così, con qualche nuvola tutto attorno e un dolore dentro, capita che faccia capolino da una stradina del centro una ragazza sconosciuta con una giacca gialla, di quelle impermeabili, con i bottoni di plastica ben evidenti. Tipo quelle che portavamo da bambini o, meglio ancora, tipo la giacca gialla che mio zio Mimmo indossava allo stadio Arechi a Salerno quando pioveva, quando si andava a vedere tutti insieme la Salernitana: la stessa giacca impermeabile che indossava in quel Salernitana-Venezia in cui ci inzuppammo talmente di acqua che Mimmo ogni tanto svuotava le sue tasche mentre mio padre e io diventavamo spugne (e quell’anno a Natale, a Bolzano, pagammo cara quella pioggia!).
Quella ragazza con la giacca gialla è stata la prima di una lunga persecuzione che da un mese mi accompagna per le vie di Strasburgo. Ogni giacca apparsa all’improvviso nel mio campo visivo ha fatto cadere piccole squame, ogni goccia che scivolava lungo la plastica portava via grammi di anima appesantita. Ogni tocco di colore apparso nel suo fulgore sgargiante ha squarciato panorami grigi che si erano stagliati sul mio orizzonte.
Ho perso il conto delle giacche gialle che ho visto da quel giorno, probabilmente è la moda dell’anno e non me ne sono accorta. Fatto sta che Strasburgo è piena di impermeabili gialli e io, ogni volta che ne vedo uno, non posso fare a meno di sorridere.