lunedì 5 agosto 2019

La legge di Lavoisier

Un anno fa era domenica sera e c'era lo sport d'estate, le prime amichevoli di calcio, il tuo Milan che in questo ultimo campionato ho osservato pensando sempre a cosa avresti detto.
Un anno fa sarebbe stata la tua ultima sera, la tua ultima cena (che poi, non è che tu cenassi la sera, tutt'al più un po' di frutta).
L'ultima volta che avresti preso il pullman, o il passaggio di un amico (io ero già a Strasburgo e non potevo litigare con te per riaccompagnarti a casa). 
L'ultima volta che avresti infilato e girato le chiavi nella toppa, fatto scattare la serratura, tolte le scarpe, scrollata di dosso la fatica di una intera e calda giornata d'agosto, la fatica.
L'ultima volta che il tuo telefono avrebbe squillato, inviato suoni e messaggi, parole, risate, sfottò, sentimenti. 
È un anno che è passato da quella sera e ricordo bene quello che facevo io, un anno fa, domenica 5 agosto, quando i timori per altro erano ancora vivi e la tua vita ancora lì a farci compagnia. Mentre leggevo, prima di addormentarmi, prima di spegnere la luce.
Ricordo tutto di quella domenica sera e di un risveglio faticoso, come ogni lunedì. E mentre la sveglia suonava e automaticamente muovevo i miei passi, i tuoi si erano appena fermati: il cuore aveva rallentato, trovandoti troppo assorto nel tuo corpo stanco e nei tuoi pensieri bisognosi di riposo per farti rendere conto che la fatica ti stava lasciando, che l'affanno e gli affanni stavano finendo.
Non per noi, che ognuno nel luogo della propria vita siamo stati attaccati dalla tua notizia che ha squarciato l'alba e il silenzio. Troppo giovane, troppo presto, troppo amato.
Io aprivo la porta per uscire e andare a lavoro e tu uscivi dalla porta della tua vita, sornione come il sorriso con cui ci hai accolto, con cui ci hai salutato. 
Tengo per me il sentire, è uno scrigno di sentimenti troppo prezioso da serbare gelosamente, un luogo del cuore a cui tornare con la mente non per cadere preda di una malinconia paralizzante ma per ricordare, per tenere vivo il ricordo di una vita, la tua, condivisa e tante volte donata (ah, quelle trecce brioche!). Un luogo a cui tornare per ridere, perché delle tante cose che ricordo di te su tutte si erge l'ironia (e quel manifesto sotto casa per celebrare le esequie dell'Inter).
Qui è quando ero giovane alla mia laurea, con 10 anni e qualche chilo in meno!

Poi, però, ci penso ancora un po' e ti ricordo con gli occhi striati di verde - i tuoi - che si facevano rossi perché si riempivano di lacrime che tu ricacciavi indietro, con dignità, per non inciampare nelle stonature.
“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma" (Lavoisier).

Mano nella mano

All’improvviso una mano afferra la mia nel tentativo di placare il panico e, mentre mi giro, vedo due occhi fermi e rassicuranti, dritti nei...