Un fatto accade, si verifica, ma forse non lo è fino in fondo. Ti guardi intorno: il panettiere sotto casa apre il forno per impastare e cuocere il pane, fuori dalla finestra senti qualche rincorsa di motorino in lontananza, la finestra del nottambulo di fronte è accesa, il lampione fa luce nella vetrata del vicino sempre allo stesso modo. Torni a dormire, riponi i pensieri nella testa cercando di affogarli tra le piume del cuscino e ricominciare a dormire.
Ma quando la cosa "la dici" allora nulla è più come prima: l'hai espressa al mondo, le hai aperto le porte fuori da te e non è più tua. Quando una cosa la dici, la emetti, la metti fuori da te, "è".
Mi ha sempre incuriosito la cocciuta posizione di Socrate, che non ha lasciato alcun testo scritto perché temeva la cristallizzazione della realtà: le parole fermano tutto nel tempo e lo rendono non più mutevole. La pensava all'incirca così.
Platone, cocciuto più di lui, ha scritto tutto e ci ha tramandato il loquace pensiero del maestro dello "gnòti s'autòn" (conosci te stesso).
Così, quando arriva una notizia che mai avresti voluto ricevere, la tentazione di bloccare l'aria che si fa spazio nei polmoni è forte.
Reprimere le parole sembra la soluzione migliore per far finta che non sia accaduta.
Reprimere le parole sembra la soluzione migliore per far finta che non sia accaduta.
Ma non accade mai così. La realtà prende spazio indipendentemente dall'aria che le diamo.