Succede così, una domenica pomeriggio come tante, sonnecchiosa per sua stessa natura - non sarebbe domenica, altrimenti - e il backup non era in programma e la connessione lenta e lo spazio per la memoria poco. Che poi, la memoria di un cellulare è una cosa talmente volatile che non si dovrebbe chiamarla così. O, forse, è l'unica memoria del mondo. Volatili sono le relazioni, i rapporti, le conoscenze. Volatile l'umanità che in un nonnulla si dimentica di essere umana e lascia spazio alla non umanità, alla disumanità, alla mancanza di comprensione di ciò che si è.
In due ore il cellulare ha cancellato qualche anno di parole scritte, di parole urlate dalla voce di una tastiera, amplificate dalle emotycon di un telefonino, in assenza di un contatto reale, attaccati a una virtualità fredda e senza emozioni.
Ho pensato alle parole perse, a quelle lontane nel tempo e alle altre lontane nello spazio. Alle parole di persone lontane e alle lontananze senza parole. Ho pensato anche a quell'unico contatto, ricordo, appiglio di ciò che fu e che più non è.
Ecco, in poche ore il telefonino ha cancellato ogni cosa. Resta poco, la memoria di cose che resistono, azzerate di ogni comunicazione. Una tabula rasa, una tavoletta di cera pura, un papiro nuovo, un quaderno pulito, aperto sulla prima pagina bianca, su cui ricominciare a scrivere.
Ma la mia memoria non è quella del telefonino. Ci sono cose che non si dimenticano.